Tracce discrete nel palinsesto grossetano: l'ingegnere comunale Enrico Ciampoli

Scriveva André Corboz che la città è come un “palinsesto”, una pergamena utilizzata più volte, interpolata, invertita, cancellata o sovrascritta, della quale è ancora possibile, tuttavia, scovare le tracce della stratificazione attraverso un'osservazione attenta. Obiettivo di questa rubrica è quello di porre uno sguardo sulla storia urbanistica e architettonica di Grosseto, raccontando i suoi palazzi, le sue strade, i suoi quartieri, attraverso quegli architetti e ingegneri che qui hanno lasciato il proprio segno. Il percorso inizia dunque nel momento in cui sono stabilite le basi di una società e di un'identità cittadina moderna, che hanno permesso la formazione in loco di un substrato culturale e professionale. Di fatto, i primi professionisti locali iniziano a mettersi in luce affiancando gli ingegneri granducali impegnati nelle opere di bonifica. In ambito urbano invece abbiamo pochi casi isolati, riferiti perlopiù a piccole sistemazioni di strade, pozzetti e lavori alla rete fognaria, mentre per gli interventi più importanti il granduca fa ancora affidamento su uomini di fiducia.

È solo all'alba del Regno d'Italia che la presenza dei progettisti grossetani si fa più consistente. La città è interamente compresa nel perimetro murario e, fatta eccezione per pochi edifici di riferimento, appare come un susseguirsi di fabbricati bassi e irregolari, intervallati da magazzini, stalle, orti e ampi spazi sterrati. In questo contesto si ritrova a operare da protagonista l'ingegnere comunale Enrico Ciampoli, nato a Grosseto da tale Deifobo il 19 agosto 1824, uno dei più prolifici professionisti della città.  Per conto del Comune, Ciampoli disegna nuove strade e piazze: suoi i disegni della piazzetta Indipendenza (1858), di piazza Mensini (1866), di piazza Baccarini (1876) e il progetto di riqualificazione della piazza del Mercato (piazza del Sale). Le pavimentazioni sono di mattoni, liste di pietra, selce; per ogni nuova piazza che progetta, l'ingegnere realizza anche una cisterna per l'approvvigionamento dell'acqua, sormontata da un fontanile sobriamente decorato. Sono gli anni in cui la città inizia a fare capolino fuori dalle mura: nel 1862 Ciampoli traccia il primo disegno di quella che diventerà piazza De Maria, fuori Porta Vecchia; qui progetta anche il complesso dei lavatoi pubblici, un'ampia vasca longitudinale coperta da tetto a capriate sostenuto da nove arcate a tutto sesto. 

Egli è a tutti gli effetti un tecnico al quale l'amministrazione comunale affida lavori ordinari, che esegue con professionalità e precisione, secondo l'inviolabile principio di una spoglia funzionalità regolato da un'economia di mezzi e risultati. Ne è un esempio il caso di Porta Nuova: dopo la sua demolizione (1866) vi è la necessità di dotare la città di un nuovo ingresso a nord. Per un momento sembra spuntarla il progetto di Bernardo Santini, che propone un monumentale arco di trionfo in stile dorico, ma il Comune non se la sente di imbarcarsi in un'opera così dispendiosa e affida l'incarico al proprio ingegnere, maestro di parsimonia. Infatti, non c'è spazio per la retorica nel progetto del Ciampoli, solo una funzionale ed economica cancellata in ghisa (la “barriera”) che va a chiudere il varco lasciato dalla porta.

Dei pochi edifici realizzati, è giunto fino a noi solo il cimitero della Misericordia (1854), uno dei suoi primissimi lavori, seppure con i suoi ampliamenti e superfetazioni; nessuna traccia dei fontanili, mentre i lavatoi di Porta Vecchia sono demoliti negli anni ottanta del Novecento per lasciare il posto al fabbricato del mercato coperto.

Enrico Ciampoli muore a Orbetello il 26 ottobre 1887 e il suo nome, dimenticato, rimane però siglato in calce in una grande quantità di carte custodite nell'archivio comunale. E restano di lui anche gli spazi che siamo abituati a vivere ogni giorno senza prestare loro particolare attenzione: rimangono le intersezioni misurate e discrete, quella griglia entro la quale si incastonano gli elementi che daranno al centro storico l'aspetto che conosciamo. E soprattutto rimane il nostro corso Carducci, “sistemato” da Ciampoli con l'eliminazione delle loggette che allora sporgevano dai fabbricati (1865), così da allargare la sede stradale e permettere l'allineamento regolare degli edifici che vi si affacciano: forse, l'unico intervento mosso più da considerazioni estetiche che funzionali, considerata l'ingente somma sborsata dalle casse comunali per tutte le operazioni di esproprio.

 

Michele Gandolfi