Intervista a Allegra Fanti - CON.TATTO

Il gigante dai cento occhi e la metafisica dell'arte

Artista, studentessa e co-fondatrice dell’associazione culturale GROW, Allegra Fanti crede nella spontaneità e nella naturalezza del processo creativo, aspetti chiave per esprimere il senso metafisico dell’arte.

Dopo la laurea in Fine Art all'Università di Northampton, Allegra si è iscritta alla magistrale in Computer Animation and Visual Effects della Rome University of Fine Art (RUFA), dove studia regia, sceneggiatura, character design e software di animazione.

Cosa intendi quando parli di metafisica dell’arte?

Mi riferisco all’esigenza di mettermi a nudo attraverso i miei lavori: quello che faccio non è mai qualcosa di puramente estetico, ma esprime una sorta di processo alchemico, una pratica di sincerità in cui capisco quale parte di me ha valore e quale invece è fittizia, una costruzione egotico-sociale o una maschera.

Negli anni ho sentito sempre più crescere questo senso di metafisica dell’arte, il desiderio di un’arte che può creare disagio, far provare pudore ma anche ammaliare, perché il nudo è ammaliante. A volte ricercare la nostra purezza può spaventare, perché vogliamo essere padroni della vita e la spontaneità sfugge al nostro controllo. 

Nelle tue animazioni, quadri e installazioni dai grande importanza ai simboli.

Certo, soprattutto alla loro valenza archetipale. Infatti non faccio riferimento a un codice simbolico definito o associato a una particolare tradizione, ma ricorro a simboli universali, trasversali rispetto alle differenti culture e religioni.

Ad esempio, in quasi ogni cultura il sole rimanda alla divinità e alla vita, a prescindere da come lo si rappresenti. Lo stesso vale per il contrasto cromatico tra chiaro e scuro, che richiama l’opposizione tra giorno e notte, maschile e femminile, bene e male.

Cosa presenterai al Festival CON.TATTO?

Presenterò una videoinstallazione ispirata al mito di Argos delle Metamorfosi di Ovidio.

Nel mito, Giove si innamora della ninfa Io e innalza una nuvola per non farsi vedere da Giunone mentre la tradisce, ma la dea sospettosa dirada le nubi. Giove decide allora di trasformare Io in giovenca, in una splendida vacca bianca, per camuffarne la vera identità. Avendo intuito l’inganno, Giunone chiede la giovenca in dono e Giove è costretto ad accettare.

Io viene legata a un ulivo e messa sotto la sorveglianza di Argos Panoptes (Argo che vede tutto), il gigante ricoperto da cento occhi che si riposa chiudendone solo due alla volta. Impietosito, il Re degli dei invia suo figlio Mercurio a liberarla: il dio, camuffato da pastore, riesce ad addormentare Argo e fargli chiudere tutti gli occhi con il suono della sua lira, per poi decapitarlo con la spada. Io viene liberata e torna ninfa.

Dispiaciuta per la sorte del suo fedele guardiano, Giunone prende gli occhi dalla testa di Argos e li pone sulle piume del pavone, suo animale sacro.

Leggere Jung mi ha insegnato a immedesimarmi nei personaggi mitologici, rivedere in loro le mie frazioni coinvolte in un dramma interiore. In Argos ho visto l’incarnazione del mio atteggiamento critico e ansioso, pronto a giudicare ciò che faccio io e che fanno gli altri, a farmi sentire in colpa con i suoi cento occhi vigili. 

La giovenca, l’Io bianco e purissimo, è invece ciò che è veramente importante. La musica e l’arte, rappresentate dalla lira di Ermes, sono l’unica via per assopire il giudizio, liberare l’Io e affiancarlo alla guida regale del pavone. Purtroppo anche dietro l’eleganza si nasconde la vanità, e il nuovo rischio diventa la superbia.

Articolo di Michelangelo Gennaro