GROW INTERVISTA ANDROGYNUS PER IL SUO NUOVO CONCEPT ALBUM USCITO IL 28 OTTOBRE 2022

Medioevo Digitale non è solo un album da ascoltare tutto in un fiato, ma è soprattutto il canto intimo e sensibile di una crescita spirituale raccontata in sette tracce.

“E andiamo a vedere cosa ha fatto l’asfalto alla città”. Così ha inizio la prima traccia di Medioevo Digitale, il nuovo concept album di Androgynus: band grossetana nata da un progetto congiunto di Gabriele Bernabò e Allegra Fanti. Il disco co-prodotto con Davide Sorresina e missato da Stefano Bechini sarà portato dal vivo da Stefano Giuggioli (batteria), Andrea Voira (tastiere e cori), Stefano Terribile (basso elettrico) e lo stesso Gabriele Bernabò (voce, chitarra e synth).

Partiamo dal nome del gruppo, Androgynus, a cosa fa riferimento?

Dimentica il concetto di ermafrodito. Ricordi il mito dell’androgino di Platone? L’essere umano in principio era più completo perché composto da entrambi le parti: il maschile e il femminile. Non riguarda l’orientamento sessuale o le caratteristiche fisiche, ma una sorta di equilibrio energetico fra le parti. Una duplicità che crea interezza, forza. Questa duplicità è richiamata anche nel medium: io (Gabriele) mi dedico alla parte di composizione testuale e musicale, Allegra cura le grafiche e i visuals. Realizziamo così un’unione androgina in cui la musica supporta l’arte visiva e l’arte visiva supporta la musica.

Noto una duplicità anche nel nome dell’album, Medioevo Digitale, più vicina però all’ossimoro. Da dove nasce questo titolo?

Nasce da un’osservazione del mondo circostante. A diciannove anni mi sono trasferito a Roma e mi sono trovato catapultato in una città caotica, frenetica e inquinata. Da questo iniziale spaesamento nasce il primo testo, Asfalto, che descrive la rabbia di un ragazzo, quasi un bambino, di fronte a un’iper-urbanizzazione che ha sepolto per sempre la Natura. Dal primo all’ultimo testo seguiamo il vissuto del narratore che si sente un microrganismo inascoltato in un macrocosmo delirante e che soffre la scissione sociale fra l’avanzamento tecnologico e il deterioramento della vita interiore. Il narratore parte da un senso di insoluto per muoversi nel mondo alla ricerca di un equilibrio.

Riesce a trovarlo poi questo equilibrio?

Nelle ultime tracce c’è una presa di consapevolezza da parte del narratore, uno spostamento di baricentro: lo sguardo si sposta dall’esterno all’interno. Nell’ultimo testo, Mattino, l’io lirico si rende conto che non dovrebbe giudicare, che forse la strada giusta da percorrere non è nella condanna dell’altro. Non si arrende, ma suggerisce di provare ad accettare lo stato delle cose, di lasciare andare il giudizio senza però disarmarsi nella lotta per il cambiamento. Possiamo parlare di un umile ottimismo fiducioso in un risveglio collettivo, ma anche di un monito ad accogliere il reale e attingere alle proprie risorse interne.

Ci sono degli echi a qualche artista, qualcuno a cui ti senti particolarmente debitore?

La musica mi accompagna da sempre nel quotidiano e inevitabilmente sono influenzato da ciò che ascolto. I nomi imprescindibili del mio retaggio sono i Beatles, Battiato, Battisti, i Verdena, i Tame Impala, Niccolò Contessa e, in questo caso, Andrea Laszlo De Simone. Sono debitore al suo secondo album Uomo Donna per la struttura che Laszlo riesce a dare a questa opera così completa e singolare. Forse il primo concept album di successo in Italia dagli anni Settanta, è un lavoro raffinato e portatore di un vero e proprio messaggio poetico.

Abbiamo detto che nel vostro progetto sono inscindibili musica e visivo, l’una serve a spiegare l’altro e viceversa.

Sì, Allegra si occupa della parte visiva. È sua la copertina dell’album che illustra il paradosso di una realtà virtuale: una piantagione infinita di schermi televisivi, su una distesa di cemento, mostrano una natura rigogliosa e colorata. Ma la Natura è solo mostrata, non reale, non tangibile. L’immagine arriva immediata e ci fa sentire la contraddizione di questo Medioevo Digitale, di una collettività che preferisce vivere e interagire attraverso uno schermo, attraverso un’illusione di vita.

Intervista di Marta Carfì