Intervista a Isabel Rodriguez Ramos - CON.TATTO

Non è mai stato così facile intervistare qualcuno. Isabel mi accoglie con un grande sorriso e un fiume di parole che solo gli impegni hanno avuto il potere di interrompere: avrei continuato a parlare con lei per ore, per giorni. Fotografa e artista visuale italo-cubana di 24 anni, la sua formazione post-diploma passa dalla Facoltà di Filosofia, a una tappa in Olanda fino ad arrivare a un diploma di tecnico di produzione video conseguito tre mesi fa. Noi di Grow l’abbiamo scoperta nel corso della sua residenza artistica DUNE nel Parco Regionale della Maremma e ce ne siamo subito innamorati.

Per la mostra CON.TATTO Isabel ci propone il primo atto del suo progetto SPAZI SOMATICI, un viaggio interiore verso l’esterno visto alla luce dell’ecologia profonda e delle arti visive ed atto a creare nuove consapevolezze in merito alle possibili interazioni e contaminazioni tra umano e natura.

Mi racconteresti la gestazione di SPAZI SOMATICI?

Il video nasce in forma embrionale per la residenza DUNE, organizzata dall’Accademia Mutamenti in collaborazione con il Collettivo Clan. È un video a cui sono molto affezionata, per la prima volta mi sono posta come soggetto di fronte alla macchina. Di solito io sono l’occhio e la mano dei miei progetti, ma in questo caso ho deciso di mettere in atto la parte performativa e di utilizzare il mio corpo. Alla base del progetto ci sono tre domande: Come può il corpo diventare paesaggio? Come posso portare il paesaggio nel corpo? Come può essere un corpo, paesaggio?

Sai ero completamente sola durante la realizzazione del video, sola con la mia macchina fotografica e lo specchio circolare. Tutti i supporti sono stati assemblati con elementi trovati in natura, come legni o rifiuti. È stato un processo lunghissimo, ho speso molto tempo a studiare il paesaggio, i suoni e soprattutto le diverse angolature.

Nel video, oltre al tuo corpo e al paesaggio, ci sono due grandi protagonisti: lo specchio e i suoni

Sì, ho scelto di usare lo specchio perché è un oggetto con cui avevo già lavorato e che funge da portale, un ponte tra il corpo e il paesaggio, come una finestra sul mondo.

Il paesaggio sonoro è invece frutto della felice collaborazione con Rossana Della Pace, cantautrice interessata alla musica popolare mediterranea. L’audio che puoi sentire in Spazi Somatici è il risultato dell’incontro tra la potenza vocale di Rossana e i suoni campionati sul luogo. Penso che Rossana abbia fatto un lavoro incredibile, il paesaggio sonoro è fatto da note che si ripetono, compongono un ciclo. Come vedi, torna l’idea di circolarità anche nello specchio: tutto fa capo alla cultura animista e a quell’idea di osmosi fra realtà interiore ed esteriore. La natura è in noi e noi siamo la natura. Inoltre la circolarità richiama anche la componente femminile della ciclicità.

Nonostante la naturalezza che sta dietro al tuo corpo nudo nel video, immagino che non sia stato così facile esporsi, mi sbaglio?

Sono abituata a lavorare con la nudità, è il pubblico che spesso non è abituato a pensare un corpo come solo corpo. Materia che non chiede di essere sessualizzata. La mia non è neanche una ricerca sul corpo femminile, ma sul corpo panico. Non sessuale, ma vivo, essenziale, parte del creato. Mi spoglio della mia identità e, nel mio lavoro, chiedo agli altri di fare lo stesso.  

Sei fondatrice e direttrice artistica di “Natural Mente Corpo”, di cosa si tratta?

È un progetto artistico che ho ideato di ritorno dall’Olanda, mentre stavo scontando i 14 giorni di quarantena obbligatoria a marzo del 2020. Nasce dalla volontà di creare uno spazio sicuro e non giudicante per giovani che vogliono confrontarsi con una fase creativa ed artistica. In collaborazione con l’attrice Marta Maltese abbiamo organizzato 4 giornate in Val di Susa aperte a chiunque volesse operare una ricerca artistica collettiva sull’ambiente naturale. Da quello che era partito come un esperimento, prende vita un progetto importante, anche dal punto di vista sociale. Seleziono con cura i candidati, preferisco lavorare con persone non avvezze alla ricerca artistica. Chiedo alla persona selezionata di liberarsi dei suoi oggetti, vestiti, della sua identità. Credo che sia proprio questo che li spinge a candidarsi, l’occasione di spogliarsi, di uscire dalla comfort zone, di perdere i connotati che ci stringono e costringono nel quotidiano. Mi sento come un contadino per loro, preparo il terreno fertile e tramite la cura lascio che il seme germogli. Mi dedico molto al soggetto, a volte stiamo soli in mezzo alla natura per settimane. La fase creativa è quella fondamentale, è una ricerca che si autoalimenta. Non post-produco nulla, voglio che il soggetto fotografato si veda senza filtri. I feedback di coloro che hanno partecipato sono entusiasti, mi donano grandissima soddisfazione. Li aiuto a tornare alla primordialità dell’essere nel mondo.

Primordialità e natura, due costanti. Come si sono instillate nella tua pratica?

Sai non mi chiamo Isabel a caso, il mio nome è ispirato a Isabel Allende: la mia infanzia è stata segnata dalle parentesi cubane e da ‘La città delle bestie’.  Ho vissuto questa duplice esperienza di crescere a Torino e visitare la mia famiglia paterna che lavora il tabacco in una zona rurale e isolata di Cuba. Passavo le giornate con i cuginetti a piedi scalzi, coltivando il rapporto con la mia parte naturale. In parallelo, nei romanzi dell’Allende ho trovato invece un’aura di magia, mi sono avventurata in queste storie di rituali, di culture tradizionali e rurali. Ma questa è stata solo la prima formazione, crescendo ho approfondito il rapporto con una ricerca culturale, filosofica, estetica e spirituale. Sto cercando di tenere insieme le diverse esperienze, tra natura, cultura, arte e teatro. Ma sono consapevole che esercitare la primordialità con la scusante dell’arte sia una paraculata, un compromesso. In questo compromesso trova ampio spazio la meraviglia: quando qualcosa ci meraviglia per la sua bellezza (e non parlo di bellezza estetica) entriamo in connessione con qualcosa di autentico, profondo, primordiale che risiede dentro di noi. La grande sfida è dunque destare meraviglia in noi e negli altri e lasciare che la si sperimenti.

 

Articolo di Marta Carfì